Le Inchieste del Commissario Ferrante Martini “L’ARROGANZA È FIGLIA DELL’IGNORANZA” di Mario Catania

Le Inchieste del Commissario Ferrante Martini
“L’ARROGANZA È FIGLIA DELL’IGNORANZA”
di Mario Catania
Qualche mese fa scrissi un articoletto raccontando la vicenda della caduta da cavallo di una ragazza che, attraversando un tratto di strada comunale insieme a due amici, ebbe la disgrazia di imbattersi in una serie di animali, per carità bellissimi da vedere, che stavano chi brucando e chi mangiando – parliamo, infatti, di capre, buoi e cavalli… chi ruminante e chi no… – liberi in uno splendido prato.
Tutto stupendo ma cosa sarebbe costato al proprietario del terreno mettere un piccolo recinto elettrificato? Nulla!
La mancanza di quel recinto fece si che un cavallo, vedendo gli altri da lontano, iniziasse a galoppare verso di loro… Si creo’ un gran caos ed una ragazza, spaventata dalla reazione del suo destriero, cadde sul cemento della strada riportando contusioni e molto spavento mentre il suo cavallo tornò scosso al maneggio con tutte le conseguenze che ciò avrebbe potuto comportare e che, solo per fortuna, non accaddero. Oggi, passeggiando notai gli stessi animali, liberi nello stesso prato, senza alcuna protezione…
Eppure il proprietario è stato piu’ volte ammonito, anche dai Vigili, riguardo al suo comportamento ed è cosciente del fatto che quel cavallo che, lui lascia libero, abbia il vizio di galoppare verso altri suoi simili appena li scorga, anche da lontano.
L’articolo 2052 del Codice Civile stabilisce che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che esso fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito” e prevede che “detti soggetti possano liberarsi dalla responsabilità solo provando il caso fortuito”. A queste obiezioni, l’arrogante di turno potrà sempre ribattere sostenendo che i suoi animali siano assicurati. Ma, c’è un ma!
Se il comportamento negligente di un soggetto rischia di creare danni o incidenti a persone o cose e questo comportamento venga scientemente reiterato allora cadiamo nel comportamento doloso: l’articolo 43 prima alinea del Codice Penale, infatti, stabilisce che l’evento sia doloso o secondo l’intenzione “quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e dal quale la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto o voluto come conseguenza dell’azione od omissione”.
A questo punto, senza voler scendere nell’eccessivamente tecnico, vorrei ricordare come manchi, tanto nella Carta Costituzionale quanto nel Codice Penale, una definizione di “reato” e come la Giurisprudenza tenda ad identificarlo nel “fatto riferibile ad una persona fisica individua al quale è ricollegata una sanzione criminale” ossia “un fatto umanamente riferibile al suo autore – parliamo anche di omissione, ndr – conforme ad un modello descritto dall’ordinamento e lesivo di un interesse penalmente protetto”.
Il reato non sempre deve essere considerato un fatto effettivamente volontario ma puo’ anche derivare da una condotta suscettibile di controllo da parte della volontà. Alla luce di quanto scritto – che davvero è solo la minima base giuridica di una fattispecie – penso sia di facile comprensione come, poichè cadendo da cavallo si puo’ anche morire o subire pesanti lesioni, se un buon avvocato, un domani, potesse provare che la reiterazione del comportamento di questo signore fosse, magari, tesa proprio a scoraggiare il passaggio di cavalieri e quanti altri attraverso il tratto di strada comunale a lui adiacente o anche solo da imputarsi ad un suo piacere personale e questa sua volontà avesse, sempre nel futuro non augurato, provocato incidenti con conseguenze importanti… beh, nel caso, il conto da pagare andrebbe ben oltre il risarcimento assicurativo!
Se io, per un mio fine, qualsiasi esso sia, decidessi di percorrere una strada di città a velocità smodata e, nel farlo, non mi curassi di poter mettere sotto qualche ignaro passante, qualora vi scappi il morto io sarei penalmente responsabile avendo tenuto una condotta cosciente del fatto che avrei, a mezzo del mio agire, potuto uccidere qualcuno benchè non conoscessi nemmeno “quel qualcuno” e non fosse certo lui nè alcun altro un mio obiettivo. Potremmo parlare di colpa cosciente o dolo eventuale, ma non voglio andare oltre.