“Le inchieste del Commissario Ferrante Martini: Non sottovalutiamo le paure e ricordiamoci le reazioni” di Mario Catania

“Le inchieste del Commissario Ferrante Martini: Non sottovalutiamo le paure e ricordiamoci le reazioni”
di Mario Catania
Il cavallo è per sua natura un predato con due sole difese: la fuga e i sensi, soprattutto vista ed udito, quest’ultimo di molto superiore rispetto a quello dell’uomo.
Solo per fare un piccolo esempio, se io decidessi di concedermi una corsa in una foresta, molto probabilmente rischierei di passare nelle vicinanze di predatori quali lupi o animali comunque potenzialmente pericolosi come i cinghiali, eppure io, uomo tecnologico con il mio cellulare di ultima generazione, il mio orologio GPS e quanto altro, proseguirei sereno senza accorgermi di sfiorare potenziali pericoli.
Lo stesso non si potrà dire per il mio cavallo, il quale avvertirà i rischi molto prima e molto meglio di me. Per questa ragione credo che se ci trovassimo all’aperto, liberi senza le protezioni di un campo di allenamento, dovremmo sempre considerare tre tipi di atteggiamenti per così dire, difensivi: la vera paura prodromo della fuga, il disagio causato dalla mancata conoscenza e la …. paura furba. Partendo da quest’ultima, che considererei un’ esempio dell’astuzia dei nostri amici facilmente smascherabile anche solo mollando leggermente le redini e consentendo loro di giocherellare, o mangiare, vorrei prendere in considerazione le situazioni reali di disagio, dal vero panico al timore di qualcosa di sconosciuto.
Come qualsiasi essere vivente, il cavallo vive di ricordi ed esperienze, ragione per la quale tanto maggiori saranno quelle affrontate durante la sua “carriera” tanto minori risulteranno le conseguenti paure: un puledro, cresciuto in una fattoria tra trattori, decespugliatori, capre, maiali, mucche, cani, gatti e quanto altro, sarà per certo meno timoroso di uno allevato in una prigione dorata priva di tutti quegli elementi di disturbo che si potranno incontrare nei sentieri e nelle strade di campagna…. Ecco, allora, che anche considerare l’originaria provenienza del nostro destriero – ippodromi, concorsi, fattorie, trekking o altro – reputo sia un momento importante per poterne prevedere e riconoscere atteggiamenti magari spiazzanti od inconsueti. Quando avremo stabilito un sincero rapporto di fiducia, vedremo poi che in momenti di timore, il semplice fatto che noi ci dimostriamo disposti a scendere dalla sella e a condurlo a mano, stando magari qualche metro dinnanzi a lui, possa rappresentare una situazione di distensione nella quale comprenderà come “quel passaggio non sia poi così pericoloso” e noteremo, con buona probabilità, che la volta successiva non avrà problemi ad affrontarlo senza “chiederci” di scendere.
La paura può, tuttavia, risiedere in ragioni più profonde a noi sconosciute, che sfuggono ai nostri sensi ed è questo un particolare che non dovremmo assolutamente scordare; torno all’esempio precedente anche perché, che lo si accetti o no, nelle nostre colline (parlo dell’alto torinese) i lupi sono stati ripopolati e come tali sono presenti sul territorio. Il nostro cavallo potrà senza dubbio percepire la presenza di simili pericoli dei quali noi mai potremmo accorgerci anche a decine di metri di distanza e, per ricondurci alle righe iniziali, di certo non avrebbe alcuna intenzioni di comportarsi come “l’uomo tecnologico” viaggiando nella loro direzione: in questi casi non credo sarebbe un atteggiamento intelligente da parte del cavaliere quello di voler dare prove assolute di forza nel dimostrare ad ogni costo “chi sia a comandare”, quanto reputo più ragionevole il saper ascoltare e, se poi anche da terra non riuscissimo ad ottenere di essere seguiti e vedremo il panico nel suo sguardo, un ragionevole cambio di direzione penso proprio non sia malvagio. Come sempre, credo sia impossibile in poche righe riassumere mille diverse situazioni, ma la sintesi estrema del piccolo “consiglio del Commissario” sarebbe quella di rapportarsi sempre, almeno nell’Equitazione di campagna quando si affrontano gite di chilometri e chilometri lontani dal maneggio da soli in sella, con un fedele amico anziché con un “mezzo di trasporto” come a volte viene considerato il cavallo: dovremmo riuscire a comprenderci l’un l’altro, a sentire e prevedere le reciproche reazioni (e questo sarà l’argomento del prossimo articolo), a pensare che la gita debba essere tale per entrambi senza mai scordare il vantaggio che ci è dato dal connubio tra la nostra esperienza e i suoi sensi. Consiglierei di scegliere una parola, personalmente uso “niente” per far intendere che ciò che in quel momento lo sta spaventando non rappresenta davvero un pericolo. Non serviamoci di frasi lunghe ma termini corti e rapidi da pronunciare, e mi permetto anche di ricordare come i suoi sensi viaggino su binari tal volta molto superiori ai nostri: per fare un semplice esempio, il nostro occhio riconosce circa 15/18 immagini al secondo mentre quello di un cavallo è capace di percepirne 20/25 e, per questa ragione, risulterà molto più sensibile a movimenti improvvisi. Ricordiamoci anche che il cavallo possiede una visione sia binoculare che monoculare: quest’ultima copre un raggio molto esteso di circa 160/170 gradi per occhio ma non consente di valutare la profondità, motivo per cui spesso alla vista di pericoli tende alla fuga non valutandone perfettamente la distanza. Non scordiamoci, per finire, dell’udito molto più sviluppato di quello dell’uomo e dell’uso delle orecchie che possono servire al cavaliere come indicatore per comprendere gli stati d’animo dell’animale: orecchie in avanti indicano attenzione, orecchie rilassate e divergenti indicano uno stato di serenità, orecchie indietro segno di aggressività, orecchie dritte in direzioni diverse tentativo di comprendere la provenienza di possibili rumori o pericoli.
Concludo questo piccolo intervento con un aggancio a quello che sarà il prossimo: ogni cavallo ha una propria reazione a determinate situazioni, la conoscenza della quale può portare a prevederlo facendo magari la differenza tra una caduta e lo stare in sella.
[Fonte: L’Equitazione e i suoi segreti – Manuale didattico, di Piero Acquaro]