“La piroplasmosi” di Mario Catania
“La piroplasmosi”
di Mario Catania
Sicurezza significa anche salute del nostro cavallo, ma evitiamo gli allarmismi.
Sento spesso parlare di Piroplasmosi, detta anche “la malaria del cavallo”: e’ noto come vi sia un forte allarmismo a riguardo, per carità giustificato ma che non deve sfociare, a mio avviso, nella fobia. Solitamente “ci accorgiamo” che il nostro purosangue ne sia portatore a causa di un “picco della lancetta indicatrice” il quale fa si che la patologia si manifesti apertamente con febbre ( ricordiamo che la temperatura corporea del cavallo è di circa 38 gradi centigradi), conseguente inappetenza, respiro rapido ed affannoso, orecchie fredde e mucose giallastre. L’agente eziologico della Piroplasmosi non è un virus bensì un protozoo, per la precisione due emoparassiti protozoari : la babesia equi e la babesia caballi; il parassita prolifera e distrugge le cellule del sangue. Il vettore dei protozoi sopracitati è rappresentato dalla zecca ( 15 tipi) e laddove esse sono presenti è possibile ritrovare la Piroplasmosi: le zone endemiche sono le aree tropicali, sub tropicali ed alcune aree a clima temperato. A riguardo vorrei ricordare che solo il 10% dei cavalli mondiali vive in zone dichiarate indenni che allo stato attuale sarebbero Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Irlanda e Giappone ( dati OIE World Organization for Animal Health)…Tuttavia da una ricerca di “Cavallo Magazine” del settembre 2012 risulterebbe che sia stata accolta come un miracolo tra gli allevatori del Texas la scoperta di un trattamento farmacologico contro la Piroplasmosi equina ; il trattamento sarebbe stato realizzato da Don Knowles, veterinario dell’U.S Department of Agricolture e della Washington State University. Qualora la presenza della malattia venisse rilevata da un esame sierologico, ricordiamoci che in esso si ricerca la presenza di anticorpi per la patologia in esame ma rilevare la presenza di anticorpi non significa aver sviluppato la malattia; essendo, quello in questione, un esame indiretto si puo’ a buona ragione sostenere che l’animale abbia avuto un contatto con l’agente eziologico ma che, per una adeguata risposta del sistema immunitario o per una carica infettante di bassa intensità, non abbia sviluppato la malattia. L’unico metodo attendibile per verificare se un cavallo sia realmente infetto è quello diretto ( Polymerase Chain Reaction): la ricerca del DNA della maggior parte degli agenti eziologici tra cui le babesie, se è presente il DNA del protozoo il cavallo è infetto altrimenti, seppur sia possibile rilevare la presenza di anticorpi, il cavallo non sarà infetto. Non esiste trasmissione della Piroplasmosi attraverso il seme e rari sono i casi in cui sia avvenuto attraverso aghi infetti mentre in genere il vettore è sempre la zecca. Significativi sono l’esclusione di Twist la Beige della squadra francese di Military dalle Olimpiadi di Atlanta del 1996 e quella, piu’ recente, del figlio di Classic Photo dall’International Trot allo Yonkers. Cio’ detto potremmo affermare che il solo esame capace di dare l’ assoluta certezza che il cavallo abbia contratto la malattia sia un costosissimo esame del DNA ( 10/20.000 euro) mentre ogni altro rilievo non potrebbe indicare se non il fatto che siano stati prodotti degli anticorpi: in parole povere il cavallo potrebbe essersi vaccinato! In alcuni casi poi, una semplice cura di ossitetraciclina, la comune Terramicina, puo’ risultare sufficiente a riportare l’indice della lancetta su valori regolari senza eccessivi allarmismi.
Fonti:
Cavallo Magazine
dr Marco Salvadori medico veterinario
Un ringraziamento al dottor Rinaldo Frigerio, medico veterinario, e a Luigi Aghemo, gestore del Mini Ranch di Villarbasse