“LA LEGGEREZZA, UN’EREDITA’ DEI CLASSICI” di Massimo Basili

Parigi, 8 marzo 1855, sono le due e mezza del pomeriggio. Il Maestro François Baucher entra nella pista del circo Napoleon per una sessione di lavoro con una giovane Cavalla che egli sta preparando per il circo. Tutto è tranquillo, Baucher accenna a infilare il piede nella staffa per montare in sella quando all’improvviso un forte rumore rompe il silenzio. La Cavalla scappa a gambe levate facendo cadere il Maestro e in un attimo il grosso lampadario a gas del peso di 10.000 chili gli si abbatte sopra, schiantandosi prima da un lato e successivamente cadendogli addosso con lui già steso in terra riportando fratture in varie parti del corpo, in particolare alle gambe.
Ebbe miracolosamente salva la vita ma le conseguenze delle ferite e delle fratture alle gambe non gli permisero per diversi anni di montare a Cavallo e di fatto egli non si ripresentò più in pubblico.
Questo evento, insolito, che apparentemente è solo quello che può essere un brutto incidente nella vita di una persona, è ciò che di fatto ha determinato l’inizio della Seconda Maniera di François Baucher.
La menomazione alla quale il Maestro fu costretto, infatti, negli anni successivi determinarono la nascita e lo sviluppo della nuova dottrina equestre, benché egli, sempre in evoluzione, sempre alla ricerca, sempre in costante progresso e ridefinizione della sua metodologia equestre, avesse già maturato in quella direzione alcune convinzioni prima dell’incidente.
La Seconda Maniera di Baucher comparve per la prima volta in letteratura equestre nel 1864, anno in cui uscì la dodicesima edizione del suo “Méthode d’equitation basée sur de nouveaux principes” (“Metodo di equitazione basato sui nuovi principi”, prima edizione nel 1842), e si precisò nelle edizioni seguenti, la tredicesima del 1867 e soprattutto la quattordicesima nel 1874 (pubblicata dal figlio Henry, un anno dopo la morte del padre). Alcune parti del libro sono state modificate, e alcuni capitoli sono stati aggiunti al testo originario che costituiva la Prima Maniera.
Ma è soprattutto Faverot de Kerbrech, suo allievo, a illustrarla e definirla compiutamente nel suo “Dressage méthodique du cheval de selle, d’après le derniers enseignements de F. Baucher” (“Addestramento metodico del cavallo da sella, dagli ultimi insegnamenti di F. Baucher”, scritto nel 1870, ma pubblicato solo nel 1891), che di fatto riporta in modo preciso gli insegnamenti del suo maestro nell’ultima parte della sua vita.
Ed è Etienne Beudant, a sua volta allievo di Faverot de Kerbrech, a confermare la validità del metodo baucherista, attraverso le sue imprese equestri, testimoniate nei suoi scritti, fra i quali ricordiamo “Extérieur et haute ecole”, (“Esterno e alta scuola”, 1923) i cui virtuosismi equestri non furono forse mai raggiunti da nessuno se non da Baucher stesso.
Parlare della Seconda Maniera di Baucher equivale a descrivere quelle che sono le origini di un’equitazione colta, raffinata, gentile, dove il Cavallo, qualsiasi Cavallo, anche non di buona conformazione o di pessimo carattere, può esprimere al massimo le sue qualità, e dove un’intelligente impiego degli aiuti rende estremamente comprensibile all’animale ogni richiesta, da quelle più semplici a quelle più complesse.
Un’equitazione che trova la sua sintesi nella parola Leggerezza, dal francese Légèreté (anche se per qualcuno il termine è intraducibile).
Nel suo più profondo significato Leggerezza si riferisce a un Cavallo che:
- risponde immediatamente e perfettamente agli aiuti del cavaliere (mani e gambe) che tendono a diventare invisibili, cioè sempre meno evidenti e sempre più discreti
- decontrae la mascella, si muove in equilibrio e nella massima scioltezza, per quanto impegnativi o complicati siano gli esercizi o le arie che sta eseguendo
- “impiega solo le forze utili al movimento previsto” (L’Hotte), forze provocate dal cavaliere, quindi non disperde le sue energie attraverso resistenze o, peggio ancora, difese
La Leggerezza ha subito nel corso del Ventesimo Secolo un declino inarrestabile e sarebbe forse definitivamente scomparsa se non fosse stato per alcuni eccellenti cavalieri e maestri che l’hanno perseguita (da René Bacharach a Jean-Claude Racinet, da Patrice Franchet D’Espèrey a Philippe Karl), o per quell’istituzione che risponde al nome di Scuola Nazionale d’Equitazione in Francia (a Saumur), che l’ha mantenuta integra fino a qualche decennio fa (oggi purtroppo anche là è decaduta).
L’ambito agonistico, l’avvento degli sport equestri, ha determinato, nel corso di tutto il ‘900, un progressivo degrado dell’equitazione intesa come arte di rendere e mantenere il cavallo più sano, più atletico, più bello, più elegante, ed invece è diventata sempre più un mezzo per ottenere le performance più elevate nel più breve tempo possibile, a scapito del cavallo stesso. Seguendo il noto motto: “il fine giustifica i mezzi”, elementi come il successo, i punti, il risultato sportivo, hanno progressivamente determinato pratiche sempre più lontane dall’idea di Leggerezza, scadendo in un’equitazione sommaria e brutale.
L’equitazione di origine tedesca, peraltro, ha prevalso dal punto di vista culturale non solo sul nuovo concetto di equitazione francese baucherista apparso alla fine dell’800, ma su ogni altro approccio tecnico equestre. Questo ha determinato un appiattimento verso il basso della qualità del lavoro del cavallo, essendo l’equitazione tedesca diventata di fatto una monocultura egemone nel panorama equestre mondiale.
In definitiva, l’abbrutimento dell’arte equestre e la decadenza dei concetti classici hanno attraversato tutto il ‘900, trovando la loro massima espressione nella seconda metà, e solo in questo primo scorcio del nuovo millennio si ricomincia a parlare e a praticare in modo più diffuso la Leggerezza, grazie anche alle possibilità di comunicazione e di condivisione che ci danno oggi potenti mezzi come internet e i social media.
La Leggerezza è un concetto che viene da lontano, è un’eredità dei classici che non può e non deve essere dimenticata. È un termine che risponde a un preciso tipo di equitazione, a una precisa filosofia che riconosce ogni cavallo come un individuo con le sue singole esigenze e peculiarità, e che rifiuta metodologie equestri che prevedono il ricorso al dolore e alla costrizione. Un termine che trova le sue origini, appunto, nel Baucher Seconda Maniera, che quello sfortunato incidente di un primo pomeriggio parigino di marzo ha contribuito a far nascere