“RADIAZIONE A VITA” di Glauco L.S. Ricci

Non vogliamo neanche rileggerla la sentenza che ha condannato gli autori di maltrattamenti verso equidi, così descritti nella stessa:
“Come univocamente dichiarato dai testimoni i maltrattamenti erano frequenti e finalizzati alla sottomissione dell’equide, ad ottenerne l’assoluta obbedienza o ancora, come testualmente dichiarato, a ‘metterlo in punizione’ o ‘a pensare’ legato in box nella impossibilità di raggiungere acqua e cibo”.
Ci è bastata la prima lettura, nauseante: se i nostri lettori la vogliono davvero leggere, così come ci è stato indicato da segnalazione privata per richiedere la nostra dovuta sottolineatura, è rintracciabile sul sito federale tra gli atti della Procura (in calce a questo articolo i riferimenti). Spiace dirlo ma, pur non essendo la normalità, questi casi esistono, se ne parla nel nostro mondo, si accettano, perché il silenzio è assenso. Sono le condanne, quando finalmente qualcuno ha il coraggio di denunciare, che non dovrebbero essere normali, non dovrebbero essere quelle che sono ma dovrebbero portare alla radiazione a vita dei soggetti colpevoli. Perché non ci sono solo i cavalli dpa e quelli non dpa, nel nostro mondo, il problema non è solo la macellazione: ci sono equidi che la preferirebbero alla vita alla quale sono sottoposti e che, miracolosamente, sale alla ribalta solo quando questi casi diventano sentenza e quindi notizia. Tralasciamo, per pudore e per non per deviare l’attenzione, gli altri reati evidenziati dalla stessa sentenza (svolgere l’attività di istruttore senza esserlo, far montare minori senza casco…. per la nota legge che la testa diventa più dura e resistente alle cadute appena si raggiunge l’età adulta, ma questo è un altro discorso), soffermiamoci, invece sull’ipocrisia di questo mondo e sull’unico tipo di sentenza che davvero può eliminare tutte queste vergogne che abbiamo dovuto ancora una volta leggere: radiazione a vita, per sempre. Punto.
R.G. TRIB. FED. n. 9/19 (Proc. P.A. 78/18)