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Home›Contenuti›Le Storie di Ucif›“IO E MILTON” di Gaetano Manti

“IO E MILTON” di Gaetano Manti

By admin
18 Marzo 2018
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“IO E MILTON”
di Gaetano Manti

Caroline Bradley, amazzone inglese nota soprattutto per la sua abilità nel preparare cavalli giovani, nel 1972 monta in concorso la cavalla Wood Nymph. Va così bene che i responsabili della federazione la contattano per valutare una sua partecipazione alle olimpiadi di Monaco. Caroline è al settimo cielo ma poi presto si accorge che l’interesse della federazione era solo per la sua cavalla e non per lei. La federazione inglese voleva affittare la cavalla per farla montare alle Olimpiadi probabilmente da David Broome. Caroline non la prende affatto bene e, in pieno accordo con i suoi genitori, decide che mai e poi mai un suo cavallo avrebbe partecipato a qualsiasi Olimpiade per i colori britannici.
Nel dicembre del 1977 Caroline compra per mille sterline un puledro di sei mesi dalle origini incerte. In questa epoca l’allevamento inglese è, se mai possibile, in condizioni peggiori dell’allevamento italiano di oggi e i documenti dei cavalli, non esistendo ancora i microchip, sono a dir poco ballerini.
Quando Caroline arriva in scuderia e fa scendere il puledro dal van i suoi colleghi restano esterrefatti per quanto brutto e mal concio è quel puledro. Caroline è persona molto determinata e ribatte seccamente dicendosi certa che quel cavallo diventerà un campione.
Il documento del puledro dice che si chiama Middle Road, genealogia di cavalli mai sentiti prima. Caroline lo ribattezza subito con il nome di Milton. Solo un paio di anni dopo Caroline viene a sapere con certezza che il vero nome di Milton è Marius Silver Jubilee, figlio dello stallone olandese Marius, a sua volta figlio del famoso stallone trakehner Marco Polo.
Il lavoro con Milton procede con la calma tipica dei grandi addestratori.
Il cavallo ha un ottimo carattere ma ha un paio di punti deboli, anzi fortissimi: non sopporta alcun ritardo nel ricevere la sua razione di fieno e di mangime. Diventa una furia. Stesso discorso quando deve essere tosato o vede una siringa.
Nel giugno del 1983 Caroline con i suoi cavalli, Milton compreso, è a Ipswich per un importante concorso. Dopo aver concluso il suo giro nel Gran Premio, Caroline si sente male e crolla a terra. Viene soccorsa subito ma muore di infarto sull’ambulanza. Ha solo trentasette anni.
I genitori (Tom e Doreen) si trovano non solo a gestire un dramma immenso ma anche a confrontarsi con un problema da non poco: nella scuderia che avevano costruito per Caroline ci sono ben 29 cavalli.
In breve tempo restituiscono i cavalli a pensione e vendono tutti gli altri, ad eccezione di Milton che sapevano essere di gran lunga il cavallo preferito dalla figlia Caroline.
Decidono di contattare John Whitaker per affidarlo a lui. John è in giro per concorsi e dice di non essere pronto ad accogliere un altro cavallo nella sua scuderia. Milton viene allora affidato al cavaliere Stephen Hadley. Molto esperto e grande amico di famiglia.
I guai però non sono ancora finiti. Un giorno la groom decide che il cavallo va tosato e procede all’operazione con tutte le cautele possibili, sapendo bene quanto Milton mal sopporta la tosatura. A un certo punto accade il disastro. Milton si innervosisce e si agita scompostamente. La groom perde il controllo e la tosatrice produce una grave lesione al tendine della gamba anteriore sinistra, appena sopra il nodello. Non c’è altra soluzione che mettere il cavallo al paddock dove resta per diciotto mesi seguito giorno per giorno dal veterinario di fiducia. E’ la fine del 1984 quando Milton viene giudicato pronto per riprendere il lavoro. Allora i signori Bradley decidono di contattare ancora John Whitaker che questa volta accetta di prendere il cavallo in scuderia. I Bradley però, memori della offesa fatta a Caroline dalla federazione inglese, pongono una condizione non negoziabile: Milton non potrà mai partecipare ai Giochi Olimpici.
Inizia così una delle più straordinarie combinazioni nella storia del salto ostacoli mondiale.
Il binomio si impone presto nella scena internazionale. Si arriva così alla vigilia delle Olimpiadi di Seul nel 1988. La federazione inglese e John fanno di tutto per convincere i genitori di Caroline a ritornare sulla loro decisione. Sono infatti certi che con Milton si può vincere la medaglia d’oro individuale e dare un contributo essenziale per la gara a squadre.
La memoria della delusione di Caroline è troppo forte e i genitori sono inamovibili.
Milton resta a casa.
Passano altri quattro anni di successi in tutti i concorsi più importanti del mondo e arriva la vigilia delle Olimpiadi di Barcellona nel 1992.
Questa volta i genitori di Caroline decidono che è arrivato il momento di dare al binomio la possibilità di partecipare e vincere una Olimpiade.
John e Milton si qualificano con facilità alla finale.
Io sono lì, al Real Polo Club di Barcellona.
Faccio la ricognizione del percorso della finale insieme a Peppino Moretti e Lalla Novo. Alla fine della ricognizione Lalla Novo, avendo preso atto della grandezza e difficoltà degli ostacoli, sbotta e a voce alta grida “non si uccidono così i cavalli!!!”
Con questa frase nelle orecchie mi siedo in tribuna assolutamente certo che John e Milton quel percorso lo supereranno senza difficoltà.
Non posso descrivere cosa provo quando Milton, nel riceversi dopo il primo elemento della doppia gabbia, inciampa sugli anteriori e inevitabilmente non riesce ad affrontare il secondo elemento, un largo immenso.
Lo stadio intero resta ammutolito.
E’ la fine di una lunga e straordinaria storia.
Mi vengono in mente le volte in cui ho visto John e Milton in passeggiata nelle splendide campagne dello Yorkshire.
Mi viene in mente quando John mi spiegava che con Milton faceva molte passeggiate e poco lavoro in piano. A casa non saltava quasi mai perché diceva “lui sa già tutto. Non ha bisogno di saltare a casa. Io devo solo lasciarlo fare e lui sa come cavarsela”.
Sono certo che un binomio come questo non lo vedremo mai più e so che John la pensa come me.

 

 

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