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Le Interviste di Ucif
Home›Contenuti›Le Interviste di Ucif›“LA COMUNICAZIONE UOMO CAVALLO” di Antonello Radicchi

“LA COMUNICAZIONE UOMO CAVALLO” di Antonello Radicchi

By admin
11 Aprile 2019
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Le Interviste di Ucif
“LA COMUNICAZIONE UOMO CAVALLO”
di Antonello Radicchi

 

L’interazione Uomo Cavallo nell’evoluzione dell’equitazione e la comunicazione in cavezza: un’intervista raccolta dalla nostra Angela Palmitessa

Antonello Radicchi, un nome molto conosciuto nell’equitazione classica, grazie per aver accettato di rilasciarci un’intervista.

“Grazie a voi per quest’opportunità di farci conoscere e di partecipare al vostro gruppo”

Iniziamo con la prima domanda. Sappiamo che la vostra equitazione viene svolta in cavezza, ma come è possibile? Su cosa si basa tale tecnica?

“Tutta l’equitazione, qualunque essa sia, si basa, anche inconsapevolmente, su un tipo di comunicazione intenzionale. Cioè su una condizione operante che premia l’intenzione e non il fare stesso. Da essa di fatto deriva tutto. È l’intenzione che muove alla collaborazione. Se si attende, a livello comunicativo, il fare, non arriveremo mai alla collaborazione, ma ad un adattamento cognitivo forzato e alla sottomissione operante. La privazione dell’intenzione non porta mai nulla di buono, si toglie al Cavallo molto, troppo, fino a renderlo un automa senza dignità espressiva”

Cosa intendi per dignità espressiva?

“La libertà del Cavallo di poter esprimere sé stesso attraverso la collaborazione. La coercizione tende ad annullare tutto ciò. Comprendere questo ci avvicina alla liberta espressiva di cui ogni Cavallo ha bisogno.
Il resto secondo me è adattamento ad una tecnica che da valore ad altri parametri e sinceramente la cosa non mi interessa più”

Credo che in queste due risposte ci siano molte cose che hanno bisogno di chiarimento. Torniamo alla comunicazione intenzionale, puoi spiegarla in modo più ampio.

“Ci proverò, ma non sarà facile. Allora diciamo che tutta la tecnica del Feel si basa sullo studio e sviluppo di tale comunicazione. Cioè nell’abilità di ogni istruttore o cavaliere o amazzone di cogliere tale stato espressivo e comunicativo. Cercando di semplificare al massimo la cosa, anche se non si riuscirà a coglierne le effettive potenzialità, possiamo dire che le nostre richieste, ad esempio flettere l’incollatura verso destra, devono tenere conto e di conseguenza interrompersi, nel momento che il Cavallo mostra l’intenzione di flettere e non alla fine della flessione”
Un attimo, ma così come si arriva ad una flessione completa se al minimo accenno di flessione noi interrompiamo la richiesta?

“Questo è il punto. Noi siamo abituati a ragionare come essere umani, ma i cavalli non possono farlo, è semplicemente impossibile. Ciò non vuol dire che non siano cognitivi, anzi, solo che hanno un altro modo di elaborare le cose. Di conseguenza il “tutto subito” per così dire, espresso nella maniera umana, ottiene risultati solo tramite la coercizione che non è altro che un adattamento del Cavallo al dolore. La collaborazione invece, si ottiene premiando l’intenzione e rafforzando il concetto di 1+1+1+1+1 per arrivare ad un obbiettivo comprensibile. E non pensate che il Cavallo non fletta perché “ancora non è preparato fisicamente”, non lo fa perché non ha compreso la richiesta. È di fatto perfettamente in grado di poter eseguire tale esercizio per un tempo limitato alle tre andature. Spesso si confonde la preparazione fisica con la comunicazione. Sono due cose distinte”

Quindi è un processo lungo….

“Assolutamente no! È molto più rapido, duraturo ed armonioso, in quanto la voglia di fare parte dal Cavallo. In pochi minuti si può chiedere una flessione profonda per breve tempo, ma è assolutamente necessario padroneggiare tale tipo di comunicazione. Bisogna cioè abituare i nostri sensi a prestare attenzione alle più piccole variazioni di stato, interpretarle in modo corretto ed esprimersi attraverso di esse, cogliendo l’espressività del Cavallo e l’intenzione di fare. è un processo immediato per il cavallo, ma spesso molto lungo per il cavaliere. non esistono scorciatoie, l’alternativa è la coercizione”

Andiamo per gradi: qual è il primo passo per addestrare il Cavallo ed ottenere da lui la collaborazione che poi porterà alla monta in cavezza? In particolare, come apprende un Cavallo ciò che gli si vuole insegnare se non ha un’imboccatura che possa gestirlo?

“Chi ha detto che l’imboccatura sia necessaria per gestire un Cavallo? Molto spesso ci blocchiamo su informazioni che ci sono state trasmesse per convenzione, o per tradizione culturale, senza guardare un po’ più in là…la “nostra equitazione” (non verrei che questo sembrasse troppo altisonante) è partita dall’osservazione di quello che mi è sempre sembrato un disagio del Cavallo. Oggi posso dire che, grazie allo studio del comportamento del Cavallo, del suo linguaggio appreso dall’uomo e messo in pratica, l’imboccatura non è più indispensabile, anzi, spesso, se non sempre, è un ostacolo alla nostra comunicazione con il Cavallo, qualcosa che lui alla fine accetta e a cui si “sottomette” (come si legge nelle schede di valutazione dei giudici di dressage), si adatta, ma che lo rende meno disponibile al dialogo collaborativo con noi. Di fatto, e dico ciò su basi scientifiche, l’imboccatura stimola la difesa, anche se ben usata. L’apprendimento non ha bisogno dell’imboccatura perché le richieste del cavaliere possono esser fatte fuori dalla bocca”

Una volta instaurato il rapporto uomo-Cavallo come si procede nell’addestramento?

“Nella stessa maniera! Basandosi sempre sulla reale intenzione del Cavallo”

Ci parli della tecnica in doppia redine, come funziona?

“È opportuno specificare che la doppia redine, cioè una agganciata sulla capezza e l’altra sul filetto, viene usata e non sempre, solo in caso di cavalli da rieducare ed il passaggio alla sola cavezza è normalmente molto breve. Sempre se la scelta viene fatta dal Cavallo”

In che senso?
“Lavorare in cavezza e filetto non è altro che offrire al Cavallo una scelta. In principio usavamo questo metodo come associazione. Cioè credevamo che il Cavallo rispondesse alla cavezza per una associazione diretta al filetto. In realtà non è così, in quanto il Cavallo come essere cognitivo opera una scelta e fino ad ora non mi è mai successo di vedere tale scelta verso il filetto, ma sempre verso una collaborazione sulla cavezza. Ma non escludo che possano esistere cavalli masochisti”

Il passo successivo è la tecnica in cavezza: a quale disciplina è applicabile?

“Senza dubbio a tutte…se solo i regolamenti permettessero di partecipare in questo modo”

Feel significa “sentire” ma è la vostra denominazione: perché avete scelto questo termine? Cosa significa?

“F.E.E.L. significa Formazione Etologica per un’Equitazione in Leggerezza. Questo vuol dire che il nostro scopo è applicare in sella lo stesso linguaggio che si studia nel rapporto da terra con il cavallo attraverso l’etologia. Ma soprattutto e questo ci tengo a dirlo, FEEL è una scuola dove si coltivano idee che vadano realmente verso il Cavallo. FEEL è un’idea, una collaborazione tra molte persone diverse con obbiettivi comuni; trovare sempre un modus operandi che parta dalle esigenze del Cavallo e tramite il Cavallo sviluppare un linguaggio efficace, efficiente ed appropriato a ciò che è l’essere Cavallo e l’essere umano richiedono per comprendersi”

Sappiamo che la vostra tecnica si basa sullo studio anatomo-biomeccanico della struttura neuro-muscolare del Cavallo, in cosa consiste?

“Nei nostri corsi abbiamo diversi libri da studiare, tra i quali i testi di Denoix e Pailloux e di Karl che sono molto chiari e vanno subito allo specifico dando molta rilevanza alla fisiologia neuromuscolare e alla propriocettività: quest’ultima, nei nostri corsi ha una rilevanza particolare perché è lei, la chiave e il motivo per cui un’equitazione in leggerezza è possibile, e lo è ancor più in cavezza. Solo nel rispetto della consapevolezza della incredibile sensibilità del Cavallo si può applicare la comunicazione e la collaborazione reciproca. Forse è questa la nostra caratteristica più importante e che cerchiamo di trasmettere nei nostri corsi: la differenza nel nostro sentire rispetto al sentire del Cavallo, il nostro adeguarci a quest’ultimo e l’adeguamento del Cavallo a noi”

Eventuali considerazioni personali?

“Vorrei chiarire alcune cose, chi usa l’imboccatura non è e non va mai considerato come una persona violenta o che non rispetta il Cavallo. Troppo spesso in equitazione si tendono a fare discriminazioni senza senso e questa è senza dubbio una di quelle. Molte persone di fatto, armate di buona volontà, non hanno i mezzi, possibilità o conoscenza, sul fatto reale che possa essere possibile un’altra strada. Compito del FEEL è cercare di portare tali risorse ad un pubblico sempre più vasto. Far vedere tramite dimostrazioni pratiche che non solo si può fare, ma che si può fare meglio ed il motivo per cui noi non usiamo l’imboccatura è semplicemente perché il Cavallo risponde in maniera migliore in cavezza. Provare e verificare. Servirebbe solo una maggiore comprensione (reale comprensione) di come agisce una imboccatura sul Cavallo e quali sofferenze può provocare. Detto questo, una buona mano in un’imboccatura è sempre migliore di una cattiva mano sulla cavezza. Ma non dimentichiamo mai che l’ideale è una buona mano sulla cavezza, beneficio sia per il Cavallo che per il cavaliere. Non mettetevi in pericolo facendovi trasportare da troppo buonismo, serve di comprendere la tecnica. Se un Cavallo è appoggiato sull’imboccatura molto probabilmente lo sarà di più sulla cavezza e a quel punto potreste trovarvi in serio pericolo. Le persone sono più importanti dei cavalli (dobbiamo amare i cavalli, ma si deve prima amare le persone) e la sicurezza deve sempre essere posta al primo posto. Sempre. Dobbiamo operare un cambiamento in noi stessi, prima di pretendere cambiamenti dal nostro Cavallo, dopodiché tutto è possibile”

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