“L equitazione ieri e oggi” Francesca Primicerio intervista Umberto Martuscelli

“L equitazione ieri e oggi”
Francesca Primicerio intervista Umberto Martuscelli
È sempre un’emozione parlare con Umberto di Equitazione. E, questa volta, ho voluto condividerla con i lettori di Ucif, che da sempre apprezzano il suo stile e la sua cultura equestre.
Quali sono, Umberto, le principali differenze tra l’Equitazione di ieri e quella di oggi?
“La grande differenza, o per meglio dire la grande transizione tra il passato e il presente sta tutta nel ruolo del cavallo. Oggi il cavallo per l’uomo è solo un animale di compagnia e con il quale vivere lo sport, un tempo era strumento di lavoro. I comportamenti, i pensieri, gli atteggiamenti, la considerazione che l’uomo riserva al cavallo hanno seguito il percorso di tale transizione. Volendo circoscrivere l’analisi al solo ambito sportivo, beh… è cambiato tutto. Un aspetto del tutto esemplificativo di tale cambiamento è il viaggio, lo spostamento, il raggiungimento di una meta: un tempo i cavalli sportivi vivevano giorni e giorni in vagoni di treni merci, a volte addirittura settimane prima di arrivare a destinazione. Oggi aeroplani dedicati, van con aria condizionata, umidificazione, televisioni a circuito chiuso per il controllo da parte dell’autista, tappe intermedie… Oppure prendiamo il caso degli accessori e dei materiali in campo ostacoli: un tempo non esistevano i ferri di sicurezza su ostacoli la cui larghezza spesso arrivava a due metri, a volte perfino due e venti; le barriere avevano un diametro di diciotto centimetri e una lunghezza di sei o perfino otto metri, in legno pieno e massiccio. Per non parlare dei terreni, poi: vere e proprie trappole spesso fatali, al confronto con quelli attuali. E poi ovviamente il tipo e la qualità dei cavalli. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale la rinascita dello sport equestre ha considerato la dimensione degli ostacoli come elemento prevalente per la discriminante agonistica: e tale principio è rimasto valido fino a buona parte degli anni Settanta, quando per esempio le Olimpiadi di Messico 1968, Monaco 1972 e Montreal 1976 hanno proposto misure di altezza e larghezza davvero estreme. Di conseguenza il cavallo ideale era quello fisicamente forte e potente, massiccio e muscoloso. Poi pian piano c’è stata l’inversione di tendenza quando si è scoperto che la selezione agonistica poteva essere effettuata utilizzando accorgimenti di carattere tecnico, e non necessariamente di dimensioni (limitando quindi i rischi di incolumità fisica sia per i cavalli sia per i cavalieri): quindi anche la tipologia dei cavalli si è modificata andando verso l’alleggerimento e l’insanguamento. Il tutto arricchito dai formidabili progressi della scienza allevatoriale che ha lavorato sempre più sulla attitudine allo sport e sempre meno sulla morfologia e la salvaguardia delle razze tradizionali, andando verso la produzione di un cavallo sportivo ‘trasversale’. E’ da tutto questo che proviene la realtà attuale, ma naturalmente il discorso sarebbe ben più lungo, volendolo approfondire con compiutezza”.
Qual è il tuo giudizio storico sul nostro Salto Ostacoli? Che momento sta vivendo, secondo te, il nostro Sport?
“La storia dell’equitazione sportiva italiana si può dividere in tre grandi parti. La prima è quella che va da Federico Caprilli alla seconda guerra mondiale. Un periodo di equitazione quasi esclusivamente militare. Un periodo di grande effervescenza dovuto alla enorme quantità di cavalli e cavalieri che venivano prodotti dai reggimenti di cavalleria e quindi poi affinati e valorizzati dai centri di preparazione di Pinerolo e Tor di Quinto e dai loro eccellenti istruttori. La grande tradizione dello sport equestre italiano si è costruita durante questo periodo. La seconda parte è quella che va dal 1947 al 1977. La guerra distrugge l’intero sistema di cavalleria militare, in ogni caso la cavalleria quale arma da combattimento non ha più alcuna ragione di esistere: la fonte primaria per lo sport equestre quindi muore essiccandosi definitivamente. E tuttavia questo è un trentennio di grandi vittorie sportive azzurre, anzi, delle più grandi vittorie azzurre in assoluto: dovute però quasi esclusivamente a due cavalieri, cioè Piero e Raimondo d’Inzeo, e alle loro organizzazioni (militari). Nasce un grande equivoco: quello di scambiare per ‘Italia’ quello che in realtà è solo ‘d’Inzeo’. I due fratelli assumono storicamente un doppio ruolo: da una parte quello di trascinare lo sport azzurro verso le più alte vette agonistiche, dall’altra quello di risultare talmente… ingombranti da non favorire la creazione di alternative in un periodo di rinascita come soprattutto quello degli anni Cinquanta. In realtà molti ottimi cavalieri compaiono sulla scena durante questo periodo, ma solo uno riesce a eguagliare il portentoso livello agonistico dei due fratelli: Graziano Mancinelli, che sboccia alla fine degli anni Cinquanta ed esplode durante i Sessanta, andando a formare con Piero e Raimondo una squadra di formidabile valore alla quale si aggiungerà all’inizio degli anni Settanta Vittorio Orlandi, quando il regolamento olimpico vedrà la composizione delle squadre da tre a quattro binomi (prima volta a Monaco 1972). Perché questa seconda parte si conclude nel 1977? Perché i fratelli d’Inzeo fanno la loro ultima Olimpiade nel 1976 e perché da quest’anno cessano quasi bruscamente le vittorie italiane nelle principali Coppe delle Nazioni europee: Piero e Raimondo ormai abbandonano la regolarità di sport di alto livello, Graziano Mancinelli inizia una fase di lento declino che peraltro si concluderà dopo molti anni, e il salto ostacoli azzurro si trova del tutto impreparato a fronteggiare le fulminanti accelerazioni che l’Europa sta vivendo in direzione del professionismo. La terza parte è quella che ancora stiamo vivendo. Gli anni Ottanta sono uno dei decenni più tristi che il salto ostacoli azzurro possa ricordare, soprattutto perché il confronto con il passato luminoso dei trionfi firmati dal trio d’Inzeo-Mancinelli è ancora molto fresco: in questo periodo in Europa si vive l’esplosione del professionismo in tutti i settori della vita dello sport equestre, mentre in Italia si rimane fermi immobili. Nasce da qui la crisi continua e per certi aspetti irreversibile del salto ostacoli azzurro di alto livello: mentre all’estero tutto viene vissuto per professione, da noi tutto si vive per diletto e per piacere e per passatempo, con la capricciosità che tutto ciò comporta. Il movimento equestre italiano non è fatto da professionisti, intendendo questa parola nella sua accezione letterale. Il paradosso sta nel fatto che abbiamo una notevole quantità di eccellenti cavalieri professionisti che però inseriscono la loro vita in un contesto predominato dal dilettantismo. La dimostrazione lampante di ciò la stiamo vedendo sotto i nostri occhi proprio ultimamente: quando i favolosi successi azzurri del 2017 sono stati ottenuti principalmente grazie a due cavalieri italiani che lavorano all’interno di organizzazioni professionistiche straniere”.
Come è cambiato negli anni il rapporto tra Cavaliere e Cavallo?
“E’ una domanda complicata, che in parte si ricollega alla prima che mi hai posto. I cambiamenti all’interno di questa relazione si devono alla mutazione del rapporto tra uomo e animale, prima di tutto; poi a quelli dello sport in sé stesso, per parlare dei cambiamenti della relazione per l’appunto sportiva. Uno degli aspetti di certo più evidenti è quello legato al concetto di benessere dell’animale, quindi del cavallo. Argomento delicato, che risente molto della aumentata sensibilità da parte degli umani nei confronti delle altre creature viventi. Però argomento che a mio avviso si sta prestando a estremizzazioni pericolose: quelle per esempio di chi confonde il benessere dell’animale con una esagerata forma di antropomorfizzazione (amore vuol dire appendere un pelouche fuori dalla porta di un box nel quale il cavallo sta rinchiuso per giorni e giorni) o di chi al contrario sostiene una altrettanto esagerata forma di naturalizzazione (cavalli sferrati sempre e comunque e liberi giorno e notte senza coperta sia in estate sia in inverno)”.
Quali sono i tuoi programmi editoriali futuri?
“Adoro scrivere. Quindi spero che i miei progetti personali possano davvero tramutarsi in progetti editoriali… Ne ho diversi: una raccolta di racconti diciamo… generalisti; una raccolta di racconti a tema cavalli; una raccolta di tutte le interviste e i ritratti di cavalli e cavalieri che ho pubblicato nel corso della mia carriera giornalistica sulle riviste per le quali ho lavorato, ma principalmente Cavallo Magazine. Il secondo libro sui fratelli d’Inzeo. La storia di Graziano Mancinelli. Un romanzo ambientato in una scuderia di Londra nella quale ho lavorato per diversi mesi come cavaliere e groom al principio degli anni Ottanta… Insomma, le idee sono tante e magari non se ne concretizzerà nemmeno una!”.
Cosa puoi anticiparci sul Libro dedicato ai fratelli D’Inzeo?
“I libri dedicati ai fratelli d’Inzeo sono due: uno narrativo e uno fotografico. A prescindere dal fatto che siano stati realizzati bene o male, una cosa è certa: raccontano un tesoro immenso della nostra storia. Anche perché ho ritenuto di dover contestualizzare al massimo e al meglio le vicende narrate, ‘sfruttando’ i fratelli d’Inzeo per raccontare l’evoluzione di un intero movimento sportivo che si è sviluppato insieme alla loro vita di cavalieri e di persone. L’opera tra l’altro non è completa: perché il libro narrativo che esce adesso si ferma alle Olimpiadi di Roma 1960, quando Raimondo e Piero hanno vinto rispettivamente la medaglia d’oro e quella d’argento; un secondo libro in uscita verosimilmente all’inizio del 2019 invece racconterà il periodo compreso tra le Olimpiadi di Roma e gli ultimi giorni di vita dei due fratelli. Perché proprio in virtù di quel progetto di contestualizzazione di cui ho detto il materiale su cui lavorare si è dimostrato di proporzioni gigantesche dopo due anni di raccolta di dati, testimonianze, immagini (e altrettanti necessari per la scrittura del narrativo e la confezione del fotografico): l’alternativa che si è posta a un certo punto è stata quindi tra tagliare, cancellare, eliminare una certa parte di contenuti, oppure preservare e valorizzare aumentando la dimensione. Abbiamo deciso di aumentare la dimensione: così il primo libro dovrebbe risultare interessante soprattutto perché – al di là del contenuto narrativo – ci racconta un’epoca molto lontana da noi facendoci però chiaramente capire da dove proveniamo, mentre il secondo tratterà di fatti e di persone che ancora oggi sono presenti nella vita quotidiana delle donne e degli uomini di cavalli. Detta in soldoni: leggere del debutto in Coppa delle Nazioni di Roberto Arioldi, l’attuale c.t. azzurro, sotto la guida di Piero d’Inzeo sarà davvero interessante, oltre che divertente per una serie di vicende che sarebbe davvero difficile immaginare, se non fossero accadute veramente…”.
Grazie, Umberto, da parte mia e di tutta Ucif.
Foto Marta Fusetti