“I sogni non finiscono mai” di Michéle Conte

“I sogni non finiscono mai”
di Michéle Conte
Michéle, parlaci di te, della tua esperienza equestre, di come ti sei avvicinata a questo mondo.
“Una bambina di 4 o 5 anni non pensa all’idea di salire su un cavallo, se non è una realtà che già fa parte della sua vita familiare. Io facevo danza, come quasi tutte le bambine della mia età. Un pomeriggio mia madre mi portò a vedere i cavalli, alla vecchia e storica Società Ippica Finalese, un posto che conosceva bene perché lavorava nei terreni vicini quando era bambina. I cavalli erano inarrivabili per una famiglia come la mia, ma l’Ippica Finalese, all’epoca, aveva una buona scuola pony e, così, sono andata avanti, con immensi sacrifici per tutti, me compresa.
Ricordo benissimo che quando mi è stato chiaro che quello sarebbe stato IL MIO SPORT non ho più visto giocattoli nuovi in casa. Quando avevo 8 anni, è arrivato l’istruttore che poi mi ha portato avanti per una ventina d’anni, Paolo Bertoni, che da bambina non mi piaceva. Però, capendo la pazienza e la capacità che aveva di insegnare a una bimba lagnosa come la sottoscritta, gli ho sempre dato retta, finché poi finalmente siamo arrivati a una sorta di compromesso, di rispetto reciproco, il rispetto che hanno due persone che hanno passato insieme quasi mezza giornata tutti i giorni per più di vent’anni. Se non fosse arrivato lui a proporre ai miei genitori di prendere un pony in mezza fida, probabilmente sarei andata avanti nella scuola fino a stufarmene. Da quel primo pony, Quokin, che poi divenne nostro e che ci ha accompagnato per tre meravigliosi anni, sono “purtroppo” passati altri cavalli. Il destino con me non è stato molto clemente: ai miei cavalli sono sempre successe tutte le cose brutte che possono succedere ai cavalli, dalla zoppia cronica all’ingranarsi, sino alla morte. La mia “carriera” si è un po’ arenata per via di tutto quello che di brutto mi accadeva, in compenso mi sono fatta le ossa, in tutti sensi. A 14 anni un brutto incidente mi ha un po’ cambiato la vita. La cavalla che avevo all’epoca mi scaricò per terra e mi mise non uno, ma ben due piedi addosso. Ne uscii con 4 costole rotte, una vertebra incrinata, un polmone bucato e 15 giorni di ospedale. La mia schiena ancora se lo ricorda. Il problema è che a livello fisico e mentale sono arrivata a 19 anni sfinita. Quell’anno morì il mio cavallo di punta, Ultimo, l’unico che mi aveva dato un barlume di speranza, quello che mi ha portato a fare i miei primi internazionali gareggiando in maniera competitiva. Era morto proprio quando dovevo dare l’esame per il corso OTEB. A quel punto ammetto che non avevo più voglia di avere cavalli. Non dico di smettere, ma non volevo più la responsabilità di animali ai quali inevitabilmente succedeva sempre qualcosa di brutto. Ed alla luce di ciò, mio padre penso bene di prendermi un puledro “da spenderci poco”. “Poi se non ti ci trovi lo dai via o lo regali, fai come vuoi” – mi disse…..sì sì…..siamo andati all’ippodromo di Villanova D’Albenga e dal box hanno tirato fuori una piccola palla da schioppo grigia che si chiamava Frankie. Sapevo cosa mi stavo portando a casa. Quello che non sapevo è che quel piccolo purosangue psicopatico mi avrebbe presa, rivoltata, sbatacchiata, devastata per poi farmi diventare il tipo di “amazzone” che avevo sempre voluto essere, in grado di montare sempre e comunque, su qualsiasi terreno, in qualsiasi disciplina, con le più svariate condizioni climatiche. Il cavallo che ho potuto portare al corso di Riqualifica con orgoglio dicendo che lo avevo cresciuto io. Un compagno di vita che sta con me da 12 anni. Ora lui è al prato in pre-pensionamento ed io impazzisco perché oltre a non lavorare non ho possibilità di montare”.
Come hai conosciuto UCIF? Cosa ti piace e cosa vorresti invece cambiare nel nostro Gruppo e nella nostra Associazione?
“Per caso. Stavo cercando gruppi dove poter vendere dell’attrezzatura che non mi serviva più. UCIF mi piace perché mi tiene aggiornata su un mondo dal quale purtroppo mi sono dovuta pian piano distaccare, ed anche se a volte nascono delle discussioni che non stanno né in cielo né in terra, credo che avere un canale comunicativo diretto tra i soggetti dell’equitazione (noi tutti) e quello che accade al suo interno, sia fondamentale per aiutare questo sport ad evolversi nel tempo, possibilmente in meglio, anche se sembra molto difficile, perché spesso si parla di argomenti dei quali non si conoscono (o non si possono conoscere) gli aspetti reali”.
Che cosa vorresti cambiare in questo nostro mondo equestre?
“Vorrei che fosse più simile a quando l’ho conosciuto, quasi 30 anni fa: una disciplina mentale e fisica, fatta di rispetto, impegno e animali meravigliosi. Vorrei che gli istruttori fossero più tutelati, e lo dico perché lo sono stata per un po’ anche io e mi sono ritrovata in una realtà dove non è possibile lavorare bene e con tutti i doveri ed i diritti che spettano a ogni lavoratore. Alla fine, per lavorare, un istruttore deve anche ricoprire ruoli che non gli competono, come quello di gestore di una struttura o “peggio” di educatore (nel senso più ampio del termine). Sorvolo sul lato “commerciale” perché non sono mai arrivata al punto di soltanto immaginare di poter lucrare sugli animali che amo”.
Immagina che ti stia leggendo il Presidente della nostra Federazione: che cosa vorresti chiedergli?
“Cavaliere, senta, posso farmi reintegrare in ruolo senza dover rifare il corso istruttori da capo?…… No….., a parte gli scherzi….. Vorrei, in primis, che si facesse un enorme passo indietro, che si torni a concepire lo sport come disciplina e non come business. Questo si può fare, intanto, ripristinando un iter di base più severo per i brevetti, improntato a risultati di miglioramento e non solo ai risultati di tabellone. Con questo piccolo cambiamento, e la conseguente regolamentazione SERRATA di compravendite e commercio dei cavalli esteri, si potrebbe negli anni tornare a uno sport eticamente ed etologicamente più sostenibile. Gli istruttori andrebbero qualificati più obiettivamente e incoraggiati al miglioramento. Del resto, un buon istruttore lo riconosci dagli allievi che “sforna”, non dai cavalli che porta in gara o se ha o meno la scuderia piena. Inoltre, una Federazione che ha dei tesserati paganti e dove i tesserati paganti sono anche proprietari di animali che tendono a vivere almeno una trentina d’anni, dovrebbe attuare un piano globale di “fine carriera”, incrementando (in un futuro fantascientifico, finanziando, in un futuro un po’ meno fantascientifico, incentivando) la nascita di strutture adeguate e non eccessivamente onerose dove poter garantire ai cavalli a fine carriera una vecchiaia serena, dignitosa e controllata”.
Grazie Michéle per la tua simpatica e piacevole testimonianza