“I CAVALLI DI PIACENZA”

1612: Francesco Mochi da Montevarchi fonde in bronzo un imponente monumento equestre che ritrae il duca di Parma e Piacenza Ranuccio I Farnese. Qualche tempo prima il sovrano aveva commissionato all’artista due grandi sculture per rendere omaggio al padre Alessandro e per recuperare il favore dei cittadini, che fin dall’origine del ducato mal avevano digerito la guida politica della potente famiglia proveniente dal Lazio. Entro il 1625 nella piazza principale di Piacenza furono montati i due monumenti: quello raffigurante Ranuccio con la sua impostazione classica, con la corazza e il gonnellino “alla romana” e con il suo cavallo elegante, aggraziato. Ben diversa la scultura dedicata ad Alessandro, celebre condottiero oltre che duca: un grande mantello svolazzante conferisce alla figura un evidente dinamismo, come la folta criniera del cavallo, la coda, e i capelli mossi dal vento del sovrano. Una rivoluzione barocca, insomma.
Da allora quella piazza fu chiamata “dei Cavalli” e oggi quegli animali si sono “moltiplicati” grazie a diciotto nuovi ospiti installati davanti al Palazzo Gotico: anch’essi scuri, come quelli del Mochi, ma in questo caso ispirati a modelli funerari di origine etrusca, senza dimenticare le evocazioni omeriche (non a caso uno dei cavalli di Paladino era posto nella prima sala della recente mostra su Ulisse a Forlì).
Oggi i committenti non sono più duchi, bensì alcune delle più importanti istituzioni culturali di Piacenza – in particolare la Fondazione di Piacenza e Vigevano, in collaborazione con il Comune – e l’artista coinvolto è Mimmo Paladino (Paduli, 1948), la cui arte ha da molto tempo a che fare con il cavallo, con quella forma archetipica antichissima tradotta mediante un linguaggio contemporaneo, geometrico e stilizzato, e che a Piacenza è a disposizione di tutti coloro che si trovano ad attraversare – rimanendone inevitabilmente colpiti – la storica piazza. Racchiusi in un “recinto” di dodici metri per lato, questi cavalli non costituiscono solo un’installazione di grande interesse ma, ponendosi necessariamente in dialogo con i loro simili più “anziani”, diventano anche un espediente per attirare l’attenzione su monumenti che, come accade in tutte le nostre città, per colpa della loro immobile permanenza diventano presenze abituali e scontate, osservate ormai da pochi
Articolo di Marta Santacatterina
Foto Lorenzo Palmieri
Fonte artribune.com